Originario della Cina e del Tibet, da dove un tempo se ne importavano le radici essiccate, il rabarbaro (nome botanico: Rheum palmatum) in seguito si diffuse anche in Europa ed oggigiorno si coltiva frequentemente in orti e giardini come pianta ornamentale.
Ne esistono di differenti varietà, con proprietà medicinali molto simili (Rheum officinale, Rheum tangunticum), anche se esse sono considerate decisamente inferiori a quelle del rabarbaro cinese o tibetano.
Il rabarbaro (Rheum palmatum) cresce spontaneo perlopiù in luoghi collinari e montuosi, in pascoli umidi e in terreni ricchi di silice.
È questa una pianta perenne appartenente alla famiglia botanica delle poligonacee, con fusto eretto e grosso rizoma sotterraneo; le foglie, situate soprattutto alla base, sono grandi, con robusti piccioli rossastri, mentre i fiori, che compaiono in maggio e giugno, sono piccoli, di color bianco giallastro, senza corolla; il frutto è secco, con un solo seme.
Il rizoma deve venir raccolto in autunno, da piante di almeno 3 o 4 anni d’età; per il suo utilizzo deve successivamente venir decorticato ed essiccato.
Questa pianta dagli effetti prodigiosi è ricchissima di ferro e di magnesio, nonché di vitamina B e C; oltre alla forte azione lassativa della marmellata (che si può preparare in casa, raccogliendo le foglie nei mesi di giugno e luglio), presenta notevoli proprietà toniche, ricostituenti e stomachiche.
Riguardo al suo ben noto effetto lassativo, occorre sottolineare che la polvere di radice di rabarbaro deve essere somministrata per un breve periodo in quanto altrimenti provoca stitichezza. Può essere assunto mediante molteplici modalità: decotto, infuso, macerato, vino, tintura e polvere.
Per combattere la stitichezza si consiglia l’infuso di rabarbaro (10 grammi) e bicarbonato di sodio (5 grammi), in 200 grammi d’acqua bollente: se ne prende mezza dose la sera prima di coricarsi e la restante dose il mattino seguente. Dal rabarbaro si può anche estrarre il succo, da sorbire nella dose di una tazza o mezza tazza al giorno, dolcificato con miele o zucchero.
Il decotto può essere impiegato come rimedio esterno su i capelli dopo lo shampoo, per schiarirne il colore. Inoltre, con la polpa del fusto può essere preparato un cataplasma da applicare sui foruncoli, per farli maturare o regredire.
Avvertenze: si deve ricordare che la parte verde delle sue foglie è davvero pericolosa e non deve in nessun caso venir ingerita, mentre il picciolo carnoso e acido delle foglie può essere mangiato in composte, marmellate o confetture. Si tratta di un’erba da usare con prudenza e se ne sconsiglia il consumo alle gestanti, alle puerpere (in quanto rende il latte amaro) e, per il suo alto contenuto di ossalati, a chi soffre di calcoli e varici.